Intervista di Mariapia Ciaghi a Claudio Menegazzi
Pubblicato sul numero di novembre 2009 su “Cooperazione tra Consumatori”
D. Come concilia i due suoi profili di ingegnere e artista ?
Io credo che gli atteggiamenti mentali siano costruiti nella nostra vita progressivamente attraverso l’interazione con la società e con la meditazione. Probabilmente i miei studi tecnici e il rigore hanno influenzato il mio essere, così come lo studio dell’arte, dal vivo soprattutto, analizzando le opere degli autori, e anche il fare nell’arte, che avviene per prove, scoperte, e soddisfazione per il lavoro ben fatto, obiettivo sempre presente.
D. Come è nata la passione per la pittura e quale è ' stato il suo percorso artistico?
Il primo approccio all’arte avvenne durante il servizio militare, con una visita a una mostra di Ligabue, organizzata dal comandante di reggimento, che aveva iniziato questa offerta culturale per noi soldati. Dopo 35 anni ricordo esattamente le sensazioni. L’humus era tuttavia presente, visto che disegno da piccolissimo, e nella scuola media i risultati erano già buoni. Il motore per iniziare a dipingere è stata però mia moglie, che mi fece acquistare una cassetta di colori ad olio, quando io continuavo a dire che sarei stato capace di fare quadri: era il 1980. Nell’anno successivo cominciai a frequentare l’atelier della scuola d’arte Martini di Rovereto, con Umberto Savoia, restandovi fino all’89. Con Umberto si parlava di fondamenti della pittura e di fisica dell’atomo allo stesso modo. Fu lì che sperimentai le tecniche, però il percorso produttivo seguì solo il mio volere autonomo. E poi continuai in solitudine.
D. Condivide la definizione del matematico Henri Poincarè secondo il quale “creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove che siano utili”?
Si, questo è vero in tutti i campi della ricerca, e anche nell’arte. Pablo Picasso andò anzi più in la dicendo che in arte non conta ricercare, ma trovare. Allora la creatività si può definire come la capacità di sistemare le conoscenze e le capacità con scoperte nuove, sorte anche dal caso, e arrivare a nuovi livelli più avanzati di performance.
D. Borges sosteneva che vi sono due estetiche: quella passiva degli specchi e quella attiva dei prismi. Attraverso la seconda l'arte si libererebbe dai vincoli dell'oggettività per forgiare visioni personali. Come definirebbe le sue “visioni alpine”?
Borges fa riferimento a conoscenze di ottica: lo specchio dovrebbe restituire l’oggettività, il prisma invece le singole componenti separate della luce, quindi più “punti di vista”: in realtà in entrambi i casi il cervello opera degli adattamenti, delle elaborazioni. Lo specchio rimanda una situazione ribaltata, speculare, e il prisma “imbroglia” il filtro dei colori della visione, che è un’attività cerebrale. Ossia il cervello ricrea sempre un’immagine di quanto si “vede”. L’artista non può mai riprodurre quello che vede, ma solo presentare un suo punto di vista mentale, elaborato sulla base della sua cultura e della sua sensibilità, si potrebbe perciò aderire al pensiero di Borges. Le “visioni alpine”, cioè la serie di acquarelli con tema dolomitico, entrano esattamente in questo modo di concepire esteticamente. Gli ambienti rappresentati infatti assomigliano alle cime note, ma essi sono quantomeno depurati dalle orrende sovrastrutture che talvolta sono state costruite, come ad esempio il miniparco di funghi di plastica alti due metri davanti ai dirupi di Larsec. Il mio lavoro però non riguarda solo la riproduzione ma presenta un mio modo di intendere l’ambiente alpino: uno spazio di libertà della natura, in sintonia con la mia esigenza di sentire il naturale, cioè creo opere che facilitano questa risonanza. Il mio obiettivo è trasmettere come un diapason questa risonanza anche al fruitore dell’opera, il quale si troverebbe perciò nella situazione di completare il mio lavoro iniziale con la sua personale visione, dando luogo allora alla “sua” opera d’arte.
D. Il riconoscimento dell'Unesco delle Dolomiti quale Patrimonio dell'Umanità ci chiede di riflettere sul turismo culturale: cosa significa per un artista puntare sulla cultura, quella legata alla governance del territorio, quella che connette il pubblico al privato, i doveri all'inclinazione, l'estetica all'etica?
L’ambiente, o il paesaggio, come dice la Costituzione nell’articolo 9 dei principi fondamentali, è la vera ricchezza della Nazione, una delle poche, accomunato al patrimonio storico e artistico. Sembrerebbe ovvia e fuori discussione la scelta della crescita del patrimonio come obiettivo sociale. Probabilmente è ovvio. Dipende dai punti di vista: lo speculatore intende il proprio patrimonio monetario, il cosiddetto privato, l’ambientalista intende la salvaguardia della natura. Io sto per l’ambiente, perché comunque esso è utile a tutti, sia esteticamente sia per naturale inclinazione, sia per rispetto verso il futuro. La cultura dovrebbe essere lo strumento per le scelte, che devono essere pubbliche, almeno per la supervisione, e le scelte impongono doveri. Per quanto riguarda la mia pittura, questa etica mi sembra manifesta.
D. Nelle sue opere predomina un sentimento di purezza visiva, di ordine cromatico, un delicato e trasparente lirismo che lei ottiene combinando armoniosamente la composizione, scegliendo il colore, effettuando con ufficio e con chiarezza di idee. Quale percorso di studio e ricerca elabora nel suo processo artistico?
Ho sempre presente, ormai innati, i rapporti proporzionali dell’arte classica, che ho appreso e applicato dagli anni ’70, quando il mio interesse era rivolto alla fotografia. Le proporzioni tra le parti, codificate da Vitruvio, sono un patrimonio della civiltà occidentale e si riconoscono quasi sempre nelle opere d’arte e nelle buone architetture. Un altro punto di partenza è la progettazione degli accordi cromatici, sempre molto vicini a quelli che vedo nella natura. Poi nel lavoro è il rigore stilistico che impone le scelte, che tuttavia possono deviare talvolta per seguire nuove vie e trovare nuove strade. Giudice finale è il mio occhio, o meglio il senso di soddisfazione che risulta dal lavoro finito, cioè quella risonanza di cui dicevo.
D. Cosa significa saper guardare?
E’ un problema che è stato affrontato da molti, che hanno distinto tra guardare e vedere. Guardare è una attività bellissima, anzi entusiasmante, che consiste nell’immersione nel mondo che ci circonda, lasciando entrare le sensazioni visive, come se si stesse in mezzo ad un’orchestra. Saper guardare penso sia analogo al vedere, cioè riconoscere alcuni dettagli, gli accordi che illuminano le idee, i diapason che fanno vibrare i sentimenti o la corda della creatività.
D. Cosa rappresenta per lei la montagna?
E’ la natura che mostra la sua potente manifestazione, come fosse una scultura. Quando salgo in montagna la difficoltà fisica mi mette in contatto con il mio intimo, il ragionamento mi sostiene nello sforzo, il contatto con il sublime agisce nel mio cervello e stimola le idee. Il suo ricordo semplifica il tutto e nasce un seme che potrei sviluppare.
D. Che ruolo gioca la Natura quale ispiratrice delle sue opere?
La natura è troppo presente per non permeare anche le idee. Credo sia così per quasi tutti gli artisti. Mi dispiace per quelli che sperimentano solo l’ambiente metropolitano. La società ci insegna a guardare alla complessità, alle problematicità e ci allontana dalla semplicità.
D. Quale tecnica sente maggiormente appropriata per esprimere la sua visione del mondo?
Sto usando attualmente l’acquarello su carta e anche l’olio su tela per la serie “pittura pittura”; ciascuno dei due modi permette, mi sembra, di raggiungere l’obiettivo. L’acquarello mi sembra più un livello base, che potrebbe permettere a quasi tutti i fruitori il raggiungimento della risonanza tra opera e pensiero, la pittura-pittura è un livello un po’ più astratto e lascia più spazio alla rielaborazione nella mente di chi guarda. Ho lavorato anche con l’incisione, ed ora sto elaborando nuovi percorsi in questa direzione, cioè il mio cervello sta lavorandoci.
D. Come e' nata la passione per l'acquerello?
Avevo sentito dire che l’acquarello è una tecnica difficile: all’inizio è stata una sfida. Aumentando l’approfondimento ho sperimentato come l’acquarello permetta una maggiore luminosità, o, come ha detto lei, un sentimento di purezza visiva, di ordine cromatico, un delicato e trasparente lirismo.
D. Quale messaggio vorrebbe trasmettere ai giovani attraverso il suo impegno artistico?
Sono un docente da molti anni e sempre ho cercato di convincere i miei allievi della necessità dell’impegno e della necessità di fare le cose al meglio, guardando non alle scorciatoie ma alla crescita personale. Non so se il mio impegno artistico potrà essere un esempio, ma almeno testimonia una tecnica rigorosa e anche un’espressione del sentimento di amore per la natura. Lavoro e amore, può bastare per una vita.
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Sir, your work is amazing. I am specially impressed with your watercolors and the Pitch series.
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