È il primo e l’ultimo sole del giorno che illumina i paesaggi di Claudio Menegazzi, quello che maggiormente imprime calore ai volumi delle architetture dei borghi lagarini da lui prediletti. Le sottili vibrazioni cromatiche, i passaggi lievi della luce e le trasparenze proprie dell’acquerello sono gli elementi cardine della sua pittura.
Alla veduta tradizionale l’artista preferisce la rappresentazione di un paesaggio “architettonico”, o meglio, detto con le sue parole, un “ritratto di architetture”. Sono realizzazioni rispettose delle leggi prospettiche scientifiche, accurate nel dettaglio ed estremamente realistiche, ma andando oltre questa prima impressione scopriamo che il paesaggio viene visto, esplorato, epurato e reinterpretato dall’artista, che così facendo se ne appropria, trasmettendovi i propri sentimenti ed emozioni.
Nei suoi soggetti Menegazzi ricerca una sorta di “aura”, anche solo in un muro scrostato che testimonia la sua storia; si riscontra in tutto ciò un tentativo di idealizzare il paesaggio, di renderlo immortale. La luce, i toni di colore e soprattutto la scelta di evitare la figura umana o di ridurre all’essenziale l’ambiente naturale danno talvolta alle opere un alone quasi metafisico, dove piazze, pievi, case coloniche, palazzi cittadini e borghi rurali diventano unici protagonisti di un mondo senza tempo.
Le opere di Menegazzi sono il risultato di una paziente ricerca, condotta con metodo e coerenza in questi ultimi anni, nella quale il punto di approdo diventa l’oggetto compiuto, la perfetta riuscita degli effetti cromatici e luministici desiderati. È una soddisfazione che l’artista rinnova di volta in volta in questi suoi lavori, eseguiti con quell’estrema perizia tecnica che contraddistingue da sempre l’acquerellista esperto.
Gabriella Parisi
domenica 3 gennaio 2010
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